L'esperienza di Uzza - ADI Sassari


Via Principessa Maria, 2C
07100 - Sassari
+39 338 590 3689
Per sempre, Signore, la tua parola è stabile nei cieli.
Salmo 119:89
info@adisassari.it
Vai ai contenuti
Articoli
L'ESPERIENZA DI UZZA

Uzza, figlio di Abinadab, apparteneva alla famiglia dei Leviti, tribù d’Israele addetta alla custodia, alla cura ed al trasporto del Tabernacolo e degli arredi.

La sua casa ospitò l’Arca dell’Eterno per oltre 20 anni (I Sam. 7:1,2).

L’Arca era un contenitore  dalle dimensioni rettangolari, di legno d’acacia, il cui coperchio, chiamato propiziatorio, era sormontato da due angeli. (Es. 25:10-22; 37:1-9)
Essa è il simbolo della presenza di Dio nel cuore di coloro che si sono accostati a Lui per mezzo dell’opera di Gesù e del Suo sacrificio attraverso cui veniamo accettati dal Padre (Rom. 3:25; I Giov. 2:2).

In breve, il contenuto dell’arca illustra tipologicamente quello che Gesù è per tutti noi (Ebr. 9:3,4): le tavole della Legge ci ricordano che Gesù è la Parola di Dio, vita e luce degli uomini; il vaso contenente la manna ci insegna che Gesù è il pane della vita, mentre la verga di mandorlo che aveva fiorito indica in Gesù la resurrezione e la vita.

Uzza è la figura di quei numerosi giovani nati in una famiglia di credenti, che crescono “all’ombra” della testimonianza cristiana, che conoscono la volontà di Dio e la Sua Parola, che però non sanno fare delle scelte nel pieno rispetto della volontà di Dio espressa nella Parola.

Uzza crebbe per tanti anni “all’ombra” di questa presenza così importante, e morì in presenza della stessa a causa del suo comportamento superficiale (II Sam. 6:7).

Il suo comportamento ci permetterà di rispondere ad alcune inevitabili domande: quali furono i suoi errori?; cosa determinò la sua morte?; fu un giudizio esagerato da parte di Dio?

1.  LA CONOSCENZA CHE CEDE AL CONFORMISMO (Rom. 12:1,2)
Uzza si impegna in un’attività lodevole: riportare l’arca dell’Eterno nel luogo destinatole, affinché fosse il nucleo attorno al quale tutto il popolo potesse offrire il culto a Dio.
Ma viene proposta un’idea che in un primo momento sembrava vantaggiosa e che tutti sembrano approvare: l’uso di un carro per trasportare l’arca.
Un carro nuovo era stato già usato dai Filistei (I Sam. 6:7,8): sembrava una buona idea anche in quell’occasione, tanto da essere adottata in quell’occasione, ma non corrispondeva alla volontà di Dio.
Infatti l’uso di un carro, trainato da un solo bue, era previsto nel trasporto di alcune parti del tabernacolo, ma non in relazione al trasporto dell’Arca e degli oggetti sacri, che dovevano essere portati a spalla (Num. 7:1-9).
Quante tendenze moderne, approvate spesso dalla massa, in relazione al modo in cui servire Dio, pregare, adorare: ma rispecchiano la precisa volontà di Dio?
Quanti “offerte speciali” con relativi “sconti” ci vengono proposti: le ultime eresie di moda, che prevedono la salvezza senza ravvedimento, le guarigioni senza fede nel Signore Gesù, i battesimi nello Spirito Santo senza l’evidenza del parlare in altre lingue, una vita cristiana senza santificazione; le varie forme di apostasia: dal New Age (Nuova Era), miscuglio di filosofie e religioni orientali, che insegnano che nell’uomo v’è il potenziale divino per risolvere i propri problemi e raggiungere le mete prefissate, al più diffuso ecumenismo, per cui si scende a palesi compromessi nei confronti della dottrina e dell’etica biblica.
Non dimentichiamo che l’empietà nelle cose spirituali è uno dei segni della fine dei tempi (Giuda 18).
Oltre a ciò vanno sempre più diffondendosi le pretese nuove forme di culto, nelle quali viene data eccessiva enfasi alla musica ed al canto, dimenticando la centralità della parola di Dio, lasciando così ampio spazio a pratiche definite “spirituali”, ma che non trovano alcun fondamento biblico, ed anzi danneggiano l’unità e la sana crescita della Chiesa.
Il “modello” previsto dalla parola di Dio per il credente (Rom. 12:2) è unico: una sola fede, quella che “è stata una volta per sempre tramandata ai santi” (Giuda 3); un solo nome attraverso cui possiamo avere la salvezza (Atti 4:10,12); una sola verità (Efes. 4:4-6).

2.  LA CONOSCENZA CHE CEDE ALLA SUPERFICIALITA’ (Giac. 4:17)
Uzza conosceva senz’altro le direttive di Dio relative al trattamento dell’arca, ed ecco perché il giudizio di Dio nei suoi confronti fu tremendo (Num. 4:5,15,18-20).
Non ci viene detto il motivo per cui egli stese la sua mano, ma possiamo fare alcune riflessioni che ci permettono di comprendere il motivo che, troppo spesso, spinge i credenti ad agire in aperta violazione ai principi della Parola di Dio.
Uzza è il classico esempio del credente che fin da piccolo cresce in un ambiente cristiano, e che raggruppa i tanti giovani che, figli di credenti, frequentano fin da piccoli le Scuole Domenicali, per passare poi ai vari “campeggi”, quindi ai raduni giovanili, e prendono parte a gran parte delle attività delle nostre chiese.
Tanti di essi hanno la conoscenza che deriva dall’insegnamento ricevuto, ma, come Uzza, tale conoscenza non si trasforma in pratica della parola di Dio (cfr. Luca 12:47; Rom. 2:12; Ebr. 1:1,2).
Come Uzza, tanti credenti, e non solo giovani, hanno conoscenza, ma trascurano una così grande salvezza … (Ebr. 2:3).
Altri ancora, come Uzza, hanno conoscenza, ma soffrono di amnesia spirituale, e “dimenticano” ciò che il Signore ha appena comunicato loro tramite il messaggio della parola (Giac. 1:22-25).

3.  LA CONOSCENZA CHE CEDE ALL’EMPIETA’ (II Sam. 6:7)
Come è possibile ritenere empio il comportamento di un uomo che sta collaborando nell’opera del Signore? Perché fu “empio” il comportamento di Uzza?
La sua esperienza conferma il principio biblico tracciato dalla parola di Dio e riportato in Giacomo 4:17, secondo cui il peccato non è solo commettere il male, ma anche non fare il bene che siamo chiamati a compiere: Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato.
Quale fu l‘empietà commessa e così duramente giudicata dal Signore?
Uzza agì con l’orgoglio proprio di chi, ritenendo il proprio punto di vista più importante delle disposizioni contenute nella Parola, sottovaluta le disposizioni di Dio (Numeri 4:15-18).
Ogni volta che commettiamo questo tragico errore andiamo incontro a situazioni di estremo pericolo per la nostra incolumità spirituale.
Uzza agì inoltre basandosi sulle proprie forze (Deut. 8:11-18; Sal. 84:5).
Il nome Uzza infatti significa “forza”, e ben si addice ad un uomo che pensò di agire indipendentemente dall’aiuto di Dio, usando la propria forza per “sostenere” l’arca, senza preoccuparsi di dipendere totalmente da Dio.
Troppe volte questo atteggiamento ci riguarda da vicino: tutte quelle volte in cui vorremmo “aiutare” Dio a risolvere i problemi della nostra vita.
Inutile dire che ogni volta il nostro tentativo diventa vano! Dio non ha bisogno dell’aiuto di nessuno.
Egli è potente da risolvere ogni situazione senza il meschino aiuto che vorremmo dare.
Infine, Uzza agì lasciandosi coinvolgere in un’attività che dio non approvava senza preoccuparsi delle “regole stabilite” (I Cr. 15:13).
Forse considerò superate o inadeguate le leggi e le disposizioni di Dio, e pensò fosse venuto il momento di adottare “tecniche” moderne.
Un tale atteggiamento ci porta alle orecchie alcune frasi che così spesso ci vengono rivolte: la fede è qualcosa di preistorico, regole antiche e retaggio di una mentalità ormai sorpassata; bisogna modernizzare la chiesa e le sue attività; il messaggio deve essere adattato ai nuovi interlocutori ...
Siamo grati a Dio perché la Sua parola per sempre … è stabile nei cieli (Sal. 119:89).

Ancora oggi, come ai tempi di Uzza la Parola è un valido mezzo per il giovane che vuole vivere godendo la benedizione di Dio: Come potrà il giovane render pura la sua via? Badando a essa mediante la tua parola (Sal. 119:9).
Uzza agì con buone intenzioni, ma queste non bastarono a produrre la benedizione di Dio, perché non furono accompagnate dalla sottomissione alla volontà di Dio.
Il modo corretto in cui Uzza avrebbe dovuto agire ci viene raccontato in II Samuele 6:12-19 ed in I Cronache 15:1-28.
Solo il successivo ritorno alle regole stabilite (I Cr. 15:13) permise a Davide di comprendere la natura dell’errore commesso, di agire in modo corretto, godendo la completa approvazione del Signore.
Torna ai contenuti